Anna Maria teneva per mano la figlioletta del portinaio - un pretesto per star lė sulla porta - e gli fece segno che c'era gente dietro l'uscio. Allora scambiarono ancora quattro parole per dirsi addio, senza guardarsi, parlando del pių e del meno - lui che gli tremavano i baffi rossi un'altra volta. - Passerete di qua, per andare alla stazione? - Sė, sė, di qua! - Ogni momento della gente che andava e veniva, Ghita nel cortile ad accendere il gas. Lajn Primo accese anche un sigaro, e se ne andō colle spalle grosse. Anna Maria lo guardava allontanarsi.
La gente si affollava per la via, a veder passare i soldati che partivano pel campo: tutti gli inquilini della casa, sotto il lampione della porta; Ghita che teneva abbracciata Anna Maria; suo padre, il portinaio, e i padroni anche loro, alle finestre, coi lumi. Cosė la povera ragazza vide passare la batteria dov'era il suo artigliere, in mezzo alla calca e ai battimani; i cavalli neri che sfilavano a due a due, scotendo la testa, dei cassoni enormi che facevano tremare le case, e sopra, sui cappelli e i fazzoletti che sventolavano, i chepė degli artiglieri coll'incerato, dondolando.
Non vide altro: tutti quei chepė si somigliavano. Il suo Lajn perō la scorse, alle folte trecce nere, in mezzo alle comari, la mamma di Ghita che stava contandole delle frottole - la vide che lo cercava, povera figliuola, con gli occhi smarriti e il viso pallido, senza poterlo scorgere, seduto basso com'era sul sediolo accanto al pezzo, il guanto sulla coscia, al suono triste della marcia d'ordinanza, che si allontanava.
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Maria Ghita Maria Ghita Anna Maria Lajn Ghita
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