- E come si vedeva che le parole gli venivan dal cuore, essa non ebbe animo di mandarlo a quel paese.
Pensava sempre a quell'altro, però, lavorando alla finestra. Chissà, chissà dov'era? di là da quelle case, dove andavano quelle nuvole scure? Che tristezza quando giungeva la sera! La campana di Sant'Angelo, lì vicino, che le picchiava sulla testa, e in cuore la tromba della ritirata, che piangeva. Il servitore accendeva i lumi, dirimpetto, e poi rimaneva ancora lì, nell'ombra delle cortine, si scorgeva dai bottoni che luccicavano. Quanto piangere in quel fazzolettino ricamato! Tanto che il cuore era stanco e s'era vuotato intieramente.
Il giorno di san Luca, ch'era anche la festa del portinaio, andarono tutti a Monte Tabor. Ghita era venuta a prenderla per forza, e anche Cesare, il quale s'era fatto dare il permesso quel giorno dalla padrona, e le aveva detto, stringendole le mani: - Venga, venga con noi! Così, a star sempre chiusa, piglierà qualche malanno! - Una gran tavolata all'aria aperta, l'altalena e il giuoco delle bocce -. Cesare, che pensava sempre ad una cosa, le rispose: - M'importa assai delle bocce adesso! Mi lasci stare vicino a lei piuttosto, ché non la mangio mica! - La sera poi, al ritorno, le diede il braccio; tutta la brigata a piedi pel bastione, sotto i platani che lasciavano cadere le foglie. Una bella sera fresca e stellata. Delle ombre a due a due che si parlavano all'orecchio, sui sedili, voltando le spalle alla strada.
Anna Maria chiacchierava di questo e di quello, per non lasciar cadere il discorso.
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