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      La zia Raffaela si faceva rossa dalla bile, lo sgridava come un ragazzaccio che era, e perché gli si levasse dinanzi gli metteva in mano qualche cosuccia. Una volta gli lasciò andare anche un ceffone.
      - Fate, fate, - disse Carmine, - ché dalle vostre mani ogni cosa mi è dolce.
      - Non venirci più qui! Non mi far peccare a causa tua! Ogni volta, poi, mi tocca dirlo al confessore.
      - Che male c'è? Son vostro nipote, sangue vostro.
      - No, no, non voglio. La gente parlerebbe, vedendoti sempre qui. Poi, no, non voglio!
      - Io ci vengo soltanto per vedervi. Non vi domando più nulla, ecco. Mi avete affatturato; è colpa mia? -
      Un giorno, durante la raccolta, mentre Carmine aiutava a scaricare l'orzo nel granaio - Raffaela, che faceva lume, tutta rossa e in camiciuola anche lei - lo scellerato l'afferrò a un tratto pei capelli, come una vera bestia che era, e non volle lasciarla più, per quanto essa gli martellasse gli stinchi cogli zoccoli e gli piantasse le unghie in faccia.
      - Per la santa giornata ch'è oggi!... - sbuffava Carmine col fiato grosso. - Stavolta non vi lascio, no! -
      Raffaela, tutta scomposta, torva, col seno ansante che le rompeva la camiciuola, andava brancicando per trovare la lucerna caduta a terra, e balbettava, colle labbra ancora umide:
      - M'hai fatto spandere dell'olio! Accadrà qualche disgrazia! -
     
      Nanni Volpe, nel rompere il maggese, alle prime acque, aveva acchiappata una perniciosa. - La terra che se lo mangiava finalmente - e il medico e lo speziale pure. Raffaela, poveretta, si sarebbe meritata una statua, in quella circostanza.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
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