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      Tutto il giorno in faccende col nipote, a far cuocere decotti e preparar le medicine pel malato. Lui rimminchionito in fondo a un letto, pensando sempre ai denari che volavano via, e ai suoi interessi ch'erano in mano di questo e di quello - gli uomini che mangiavano e bevevano alle sue spalle e se ne stavano intanto nell'aia senza far nulla, ora che mancava l'occhio del padrone - il curatolo che gli rubava certo una pezza di formaggio ogni due giorni - la porta del magazzino che ci voleva la serratura nuova, tanto che il camparo doveva averci pratica colla vecchia. - La notte non sognava altro che ladri e ruberie, e si svegliava di soprassalto, col sudore della morte addosso. Una volta gli parve anche di udir rumore nella stanza accanto, e saltò dal letto in camicia, collo schioppo in mano. C'erano davvero due piedi che uscivano fuori, di sotto il tavolone, e Raffaela in sottanino che s'affannava a buttarvi roba addosso:
      - Al ladro, al ladro! - si mise a gridare Nanni Volpe, frugando sotto la tavola colla canna dello schioppo.
      - Non mi uccidete, ché sono sangue vostro! - balbettò Carmine rizzandosi in piedi, pallido come la camicia, e Raffaela, facendosi il segno della croce, brontolava:
      - L'avevo ben detto, che l'olio per terra porta disgrazia! -
      Poscia, spinto fuori dell'uscio Carmine più morto che vivo, e ancora mezzo svestito, Raffaela si mise attorno al suo marito, coi beveroni, col vino medicato, per farlo rimettere dallo spavento, scaldandogli i piedi col fiasco d'acqua calda, rincalzandogli nella schiena la coperta; - Lei non sapeva, in coscienza, come si fosse ficcato lì quel ragazzaccio.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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