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      - No, no, - rispose lo zio col suo risolino d'uomo dabbene. - Il testamento è in favor tuo, e se mi avvelena non ci guadagna nulla. Anzi! - Si grattò il capo a pensare se dovesse dirla, e infine se la tenne per sé, ridendo cheto cheto.
      Infine Raffaela tornò a casa sottomessa come una pecora. L'accompagnò la mamma Sènzia e gli altri parenti. - Nulla nulla. Son cose che succedono fra marito e moglie; ma ora la pace è fatta, e vedrete come vostra moglie si ripiglia il cuore che gli avete dato, compare Nanni.
      - Io non gliel'ho tolto, - rispose Nanni Volpe. - E non voglio toglierle nulla, se lo merita -.
      Raffaela per meritarselo si fece buona ed amorevole che non pareva vero, sempre intorno al marito, a curarlo, a prevenire ogni suo desiderio e ogni malanno. Il vecchio le diceva:
      - Fai bene, fai bene. Perché se mi accade una disgrazia prima che io abbia avuto il tempo di rifare il testamento, è peggio per te -.
      E si lasciava cullare e lisciare, e mettere nel cotone, e ci stava come un papa.
      - Un giorno o l'altro, - tornava a dire, - se il Signore mi dà tempo, voglio rifare il testamento. Ho lavorato tutta la vita; ho fatto suola di scarpe della mia pelle; ma ora ho il benservito. Tutto sta ad avere il giudizio per procurarsi il benservito -.
      Il solo fastidio che gli fosse rimasto, in quella beatitudine, erano le liti continue fra Carmine e la zia. Strilli e botte da orbi tutto il giorno, e non poteva neppure alzarsi per chetarli.
      Alle volte Raffaela compariva tutta arruffata, sputando fiele, col sangue che le colava giù dal naso, mostrando gli sgraffi e le lividure:


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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