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      Altri giovanotti le fecero ressa intorno, mentre Serravalle se ne scappava segnando nel taccuino il valzer che le aveva quasi strappato a forza. Ciascuno la supplicava d'accordargli un posto al suo tavolinetto, nel va e vieni degli invitati che sedevano a cena a piccoli gruppi di tre o quattro, con delle esclamazioni giulive, degli scrosci di risa, dei nomi barattati da un tavolino all'altro, un fruscìo di seta, un luccicare di gemme, delle spalle nude che si chinavano con movimenti graziosi. Ella tenendo testa a tutti quanti, schermendosi col ventaglio, ribattendo i frizzi e le galanterie, spiava sottecchi ogni atto, ogni gesto di suo marito e di Casalengo, il quale stava cercando il suo posto anche lui. I loro sguardi si evitarono d'accordo, non appena s'incontrarono, per caso. Il Comandante, dando il braccio alla contessa, le parlava nel viso, allegro e disinvolto anche lui. La signora Ginevra, ritta dinanzi al posto dove aveva letto il suo nome sul cartoncino litografato, cavava adagio adagio le mani scintillanti di anelli dall'apertura del guanto che le saliva sino al gomito, avvolgendoli mezzi intorno al polso... Gemma, che aveva potuto raggiungerla finalmente senza dar nell'occhio, le chiese sottovoce, brevemente:
      - Cos'è stato?
      - Nulla... Ti dirò poi... -
      Ella così dicendo s'era chinata a leggere i nomi dei suoi compagni di tavola. Ma scorgendo quello di Alvise di faccia a lei, un'attenzione delicata della contessa, che studiavasi di mettere insieme bene i suoi invitati, non seppe reprimere un moto come di sgomento.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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