- Grazie. Me la son meritata. È vero.
- Ma... secondo. Lasciatemi guardarvi in viso...
- Ah no! Non facciamo imprudenze! Io, per esempio, potrei vedere nel vostro qualcos'altro...
- Che cosa?
- Lui...
- Lui, chi?
- Lui, quell'altro... Vedete se sono buono! -
Il poveretto arrivava a bruciarle sotto il naso il granellino d'incenso della gelosia amabile. Una cosa deliziosa. Ella, ridendo, diceva di no, di no, col sì negli occhi.
- Un altro, chi? Siete matto?
- Che so io... il sogno di stanotte, il chiaro di luna, la canzone che passa, l'ultima parola che vi è rimasta nell'orecchio, fra tante... forse senza che ve ne siate accorta voi stessa... -
Casalengo si batteva i fianchi, non potendo combattere il rivale incognito ch'era inutile cercare, ch'ella non avrebbe confessato giammai, e che non osava forse confessare a se stessa, ancora. Una voce gli diceva all'orecchio, a lui pure: - È inutile, tutto ciò che farai aggraverà i tuoi torti di geloso che ha dei diritti, ed è diventato un ostacolo. Non potrai essere con lei né magnanimo, né dispotico, e neanche innamorato, quasi. Se minacci t'avvilisci, e se piangi sei ridicolo. L'ultimo di cotesti imbecilli che le fanno la corte ha un gran vantaggio su di te. Non puoi mostrarti a lei né umile, né minaccioso, né indifferente, né sospettoso. Comunque ella ti risponda, sdegnosa, o docile, o tranquilla, o timida, ti butterà egualmente in faccia un rimprovero, un'accusa, una di quelle parole che rompono braccia e gambe, e fanno chinare il capo: “Seccatore!
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Seccatore
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