Proprio il nido d'amore, tappezzato da Levera, e col terrazzino sul golfo di Napoli per contemplare le stelle, e la luna di miele. Erano liberi, soli e senza alcun sospetto. Ma non era più la stessa cosa, o almeno non era più la stessa cosa di prima. Nella loro felicità aprivasi una lacuna, una crepa in cui s'abbarbicavano delle male piante che aduggiavano il bel sole d'amore e facevano impaccio alle parole e alle cose gentili. Lei, infine, non sapeva perdonare a Casalengo l'inchino profondo, l'aria troppo rispettosa con la quale veniva a salutarla, in teatro, al ballo, fra i suoi amici. Lui aggrottava le ciglia suo malgrado, tal quale come Silverio, se qualcheduno di essi mostravasi più appiccichino degli altri, più assiduo e premuroso degli altri verso di lei - tacendole le sue pene, oppure stordendola col cinguettarle alle orecchie delle sciocchezze che la facessero ridere. - Le conosceva anche lui le arti di cotesti seccatori... e anche lei un po' civettuola lo era stata sempre... per incoraggiare ogni sciocchezza che le tubassero all'orecchio.
- Una noia, cara Ginevra!... Non capisco come certuni si buttino addosso a una signora e le facciano gli occhi dolci per dirle magari: buona sera!
- Quello che facevate voi, mio caro... allora... nei bei tempi... Quando vi dicevo: “Né mai, né sempre....” -.
CARMEN
- No, non mi tentate, Casalengo! Sapete che mi chiamano Carmen! Il vostro amico è “biondo e bello e di gentile aspetto”; e ingenuo, timido e cavalleresco...; ritorna adesso dagli antipodi.
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