Quando ci rivedremo, laggiù, se ci rivedremo, voglio che mi troviate savia, grassa e prosperosa come quella bionda vergine ch'è venuta a far la tisica, qui all'albergo, e la vocina sottile per cantare le arie del Tosti, svenendosi sul piano. Voglio che torniamo a ridere, senza musi lunghi, e senza “dolci languori negli occhi desiosi”. Oh, no! A che pro adesso? Noi ci siamo detto tutto. E le parole amare che rimangono all'ultimo... No, Riccardo! quelle no! Ieri sera eravate nervoso anche voi. La mano che vi ho stesa nel dirvi addio, la mano che vi parlava altre volte, e vi diceva tante cose, non ha saputo trattenervi.
Ho persa anche la fede in quel povero neo che vi faceva perdere la testa a voi, una volta, e che non ha saputo dirvi nulla neppure esso, ahimè!
Ecco ora che fo la sfacciata per non sembrarvi noiosa, perché l'ultima immagine mia, l'ultimo ricordo che vi lascio sia buono, dolce, affettuoso e piacevole. Sarà forse l'ultima civetteria che rimane, dopo la fine. Vorrei che mi vedeste ancora come vi son piaciuta, quando vi son piaciuta, senza menzogne, senza reticenze, senza veli, tutta per voi, anima e corpo, tutta una cosa con voi, come quando si ama bene e molto - fin sopra ai capelli - direte voi. E la prova è che abbiamo vuotato il sacco della felicità, voi forse più in fretta, io certo con maggior spensieratezza, poiché dovevo sapere come vanno a finire queste cose, io che son più vecchia di voi. - Ho cent'anni da ieri in qua, amico mio. - Ma non mi pento di avervi lasciato sfogliare pazzamente “le rose del cammino” perché ce n'erano tante, e così belle, che sembrava non dovessero terminare giammai; e vi ho aiutato anch'io a sfogliarle, sorridendo e chiudendo gli occhi, come fo adesso, per non sentirne le spine.
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Tosti Riccardo
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