Poi la bella Maio tornò a raccogliere gli omaggi altrui come una regina.
Quando andai a posare la tazza vuota sul tavolinetto, al quale la signora Ginevra appoggiava di tanto in tanto la mano, coll'aria un po' stanca e affaticata, ella mi chiese a bruciapelo, fissandomi in viso quegli occhi luminosi:
- Così? Non avete più nulla da dirvi, né voi né lei?
- Ahimè, no.
- Oooh! - esclamò ridendo, - oooh!... -
E inzuccherò senza pietà il thè dell'Ammiraglio.
La contessa Ardilio le offrì di aiutarla. Ella accettò subito per venire a sedere accanto a me su di un canapè d'angolo.
- Abbiamo molte cose da dirci; ma è meglio non parlarne, è vero? A che serve oramai? Siamo perfettamente ragionevoli tutti e due... Allora... quando seppi il torto che avete fatto alla parola datami... il giuramento del marinaio, vi rammentate?... - E sorrideva, povera Ginevra. - Però non ve ne volli... né a voi, né a lei... Ebbi dei torti anch'io... Ma voi sapevate che non ero libera... -
Allora mi parlò francamente di Alvise, il solo che non potesse farsi vivo fra i suoi amici. - Anch'io ho bisogno di perdono, lo so!... Ora tutto ciò è passato... lontano tanto!... Vedete come ve ne parlo?... -
Tornava a fare quel gesto vago, tirando in su i guanti lunghissimi. Tutta la sua civetteria riducevasi adesso a una cura gelosa di nascondere le sue povere carni mortificate. E di colui pel quale aveva sentito forse più trionfante la vanità della sua bellezza, quando appariva in una festa, colle spalle e le braccia nude, soltanto per lui, discorreva adesso tranquillamente, con una certa amara disinvoltura.
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