A un tratto successe l'oscurità, nell'attraversare una piazza. Tutti e due istintivamente, si scostarono e tacquero.
Bice era corsa ad incontrare la madre, e le si buttò al collo con un diluvio di carezze e di parole sconnesse. Era sofferente, e Roberto le diede il braccio per salire le scale. La contessa veniva dopo, un po' stanca anch'essa, soffocata dalla pelliccia greve.
Allorché furono nel salotto, in piena luce, ella fu colpita dall'aspetto di Bice, dalla sua veste da camera larghissima, dalle mani venate d'azzurro, posate sui bracciuoli della poltrona dove s'era lasciata cadere come sfinita, ma raggiante di una serena felicità. Roberto si chinava per parlarle nell'orecchio. Senza avvedersene si appartavano entrambi spesso e volentieri, discorrendo sottovoce fra di loro, presso la fiamma del caminetto che li colorava di un'aureola rosata, lontani dal mondo, lontani da tutti, dimenticando ogni cosa...
Dopo il primo sbigottimento di quella sera, la contessa sembrava più calma. Allorché trovavasi sola con Roberto, e lui parlava, parlava, quasi avesse paura del silenzio, ella ascoltava col sorriso distratto, sprofondata nella poltrona, accanto al fuoco che lumeggiava d'azzurro i capelli neri, col fine profilo opaco inquadrato nella luce al pari di un cammeo.
Però un nube sembrava sorgere fra madre e figlia, nell'intimità della famiglia: una freddezza incresciosa e insormontabile che agghiacciava le affettuose espansioni: un imbarazzo che rendeva moleste le premure di Roberto per l'una o per l'altra, e spesso anche la presenza fra di loro - come un'ombra del passato che offuscava gli occhi della figlia, che faceva impallidire la madre, che turbava anche Roberto, di tanto in tanto.
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