Tenetevi San Mauro che vi mette in un mazzo con le ballerine della Scala. Io vi ho buttato in faccia la giovinezza mia, che avete distrutto, la vita che mi avete succhiata coi baci, vampiro!
GIACINTO
Genova, 8 maggio
Aspettatemi. Verrò.
VIOLA
Napoli, 14 maggio
No, no, mio caro GIACINTO. È meglio non vederci più. Sono stata a trovarvi, incognita; l'albergatore mi aveva aperta una finestra sul giardino, dove eravate a passeggiare. Come siete mutato, mio povero e caro GIACINTO!
VIOLA è morta.
DON CANDELORO E C.
(1894)
DON CANDELORO E C.
Don Candeloro era proprio artista nel suo genere: figlio di burattinai, nipote di burattinai - ché bisogna nascerci con quel bernoccolo - il suo pane, il suo amore, la sua gloria erano i burattini. - Non son chi sono se non arrivo a farli parlare! - diceva in certi momenti di vanagloria come ne abbiamo tutti, allorché gli applausi del pubblico gli andavano alla testa, e gli pareva di essere un dio, fra le nuvole del palcoscenico, reggendo i fili dei suoi “personaggi”.
Per essi non guardava a spesa. Li perfezionava, li vestiva sfarzosamente, aveva ideato delle teste che movevano occhi e bocca, studiava sugli autori la voce che avrebbe dovuto avere ciascuno di essi, Almansore o Astiladoro. Quando declamava pei suoi burattini, nelle scene culminanti, si scaldava così, che dopo rimaneva sfinito, asciugandosi il viso, nel raccogliere i mirallegro dei suoi ammiratori sfegatati, come un attore naturale.
Di ammiratori ne aveva da per tutto, alla Marina, alla Pescheria, certuni che si toglievano il pan di bocca per andare a sentire da lui la Storia di Rinaldo o Il Guerin Meschino, e se l'additavano poi, incontrandolo per la strada, colla canna d'India sull'omero e la sua bella andatura maestosa, che sembrava Orlando addirittura.
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