Gli soffiava fra capo e collo dei sospiri che avrebbero acceso tutt'altro fuoco, pigliandosela colle stelle e coi barbari genitori.
- Sta' tranquilla, - disse Martino, - sta' tranquilla che me la pagherà -.
Adesso era lei che lo stuzzicava, vedendo che il ragazzo, ammaestrato dalle busse, stava all'erta pel principale, coll'orecchio teso e guardandosi intorno prima di allungare le mani verso di lei. Gli portava di nascosto i migliori bocconi; gli serbava, in certi posti designati, il vino rimasto in fondo al fiasco; per rivolgergli le parole più semplici, dinanzi ai suoi, faceva un certo viso come avesse l'anima ai denti, col capo sull'omero e gli occhi di pesce morto; pigliava il tono delle Clorinde e delle Rosamunde per dirgli soltanto: - Bisogna andare per l'olio, Martino. - Guarda che non c'è più legna sotto la mangiatoia... -
E quando lavorava accanto a lui, sul palco, con le Artemisie in mano, gli buttava sul viso le parole infocate della parte, cogli occhi neri che mandavano lampi, e le labbra turgide che volevano mangiarselo.
“O Cieli! Che mai vedo a me dinanzi!... Mio signore... mio bene!”
- Lavora! lavora, sgualdrinella! - borbottava don Candeloro, allungando delle pedate, quando poteva.
- Com'è vero Dio! t'ho detto che me la pagherà! - rispose Martino fra i denti più di una volta. “Si, principessa adorata...”
E gliela fece pagare, un giorno che il principale era andato avanti a procurar la piazza, e la Compagnia e la baracca seguivano dietro su di un carro. Martino e la Violante finsero di smarrirsi per certe scorciatoie, in mezzo ai fichi d'India, e raggiunsero poi la comitiva in cima alla salita, scalmanati; Martino trionfante, quasi avesse vinto un terno al lotto, e la Violante che sembrava davvero una principessa, sdilinquendo attaccata al suo braccio, e lagnandosi di avere male ai piedi.
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