C'erano tutti quelli della piazza. Il principe d'Antona, in giacchetta, come uno che da per tutto si reputa in casa propria, Barbetti e il banchiere Macerata in cravatta bianca come dei principi; i soliti amici di tutte le prime donne che passano pel palcoscenico dell'Apollo. C'erano anche delle facce nuove, che se ne stavano timidamente in seconda fila: un giovanotto pallido e dagli occhi sfavillanti che tartagliava, una signora in voce di poetessa, la quale eclissavasi con affettazione dietro agli altri; e un po' in disparte il Re di cuori, come lo chiamavano, il patito della signora Celeste, un bel giovane taciturno che assumeva un'aria misteriosa. Barbetti scriveva già le impressioni della serata sul ginocchio, posando lo scarpino inverniciato sulla sponda del canapè, elegantissimo e insolente, quand'era in cravatta bianca, mugolando fra le labbra:
- Ah, Celeste mia! Celeste voluttà!... -
Lontano, al di là della scena buia e di un caos d'attrezzi, continuava ancora l'applauso, col crepitìo di un fuoco d'artifizio. Delle ballerine discinte si affacciavano alle ringhiere dei camerini soprastanti. Il buttafuori, in maniche di camicia, accorreva scalmanato. Le stesse voci plaudenti ripigliarono:
- Sentite! sentite!... Vi vogliono ancora!... Li avete proprio elettrizzati!...-
La diva, nell'orgoglio del trionfo, fece un atto sublime di disdegno, lasciandosi cadere quasi sfinita sul canapè, accanto al ginocchio del cronista, e colla coda dell'occhio seguiva il lapis d'oro di lui, mentre rispondeva col solito sorriso stracco ai complimenti che le piovevano da ogni parte.
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