Aveva un vulcano in corpo, l'indegno! Ardeva per tutte quante della stessa fiamma che consumava lei pure, ahi derelitta - di persona e di beni!
O dolcezze perdute, o memorie! Quando invece Bibì correva dietro a lei, come un pazzo, in quella memorabile stagione dell'Apollo che fece perdere la testa anche a dei principi della Chiesa! Ebbene, essa aveva preferito Bibì, né signore né principe, allora, ma giovin, studente e povero, venuto dal fondo di una provincia, ricco solo di entusiasmi, per imparare musica, o pittura - una bell'arte insomma. La più bell'arte, per lui, fu di saper conquistare, senza spendere un quattrino, il cuore di Leda, la quale in quell'epoca teneva legata al filo dei suoi menomi capricci quasi una testa coronata. Capriccio per capriccio, essa preferì il nuovo, quello che aveva il sapore del frutto proibito, un'attrattiva insolita, la freschezza e la grazia di un primo palpito: - Lettere, mazzolini di fiori, incontri semifortuiti al Pincio, ogni fanciullaggine, in una parola. Ei ripeteva, supplice, come un eroe della scena: - Un'ora!... e poi morire!...
- No! - rispose ella alfine. - No! Vivere e amar! -
Amor, sublime palpito!... Il fatto è che ne fu presa anche lei stavolta, allo stesso modo che aveva fatto ammattire tanti altri. - Ma presa, là, come si dice, pei capelli. Così il fortunato giovane ascese furtivo all'ambìto talamo del geloso prence. Gli schiuse l'Eden lei stessa, tremante, a piedi nudi - i divini piedi cantati in prosa e in versi! - Bibì, che a sentirlo era un leone indomito, tremava anche lui come una foglia.
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