- Signori miei, badate a quel che fate! - ammoniva Vito Scardo. - Vincano questi, vincano quegli altri, badate a quel che fate! -
Soltanto a sera tarda sguisciava fuori un momento per pigliar aria, e sentire quel che si diceva, e lì, sotto gli olmi della piazzetta, al buio, amici, conoscenti, che spuntavano come funghi, e perfino Malannata, in gran sussurro. Alcuni dissero pure di averci visto Scaricalasino, in confidenza con fra Giobattista. Malannata poi che faceva il mestiere di vender erbe, ed era sempre in giro, ne portava più di ogni altro, notizie fresche. Andava a raccoglierle sino a Scordia e a Valsavoja, insieme alle erbe, talché il figliuolo, perché parlasse in libertà, lo ficcava anche in cucina, col naso sulla scodella.
Giunsero le funzioni del giovedì santo, la comunione per tutti i frati, abbracci e baci a destra e a sinistra. - Fra Giobattista adesso, colle lagrime agli occhi, si picchiava il petto quasi fosse giunta l'ultima sua ora. Tanto che il guardiano si mise in sospetto e lo chiamò in sagrestia: - Che c'è, figliuol mio? Che sai? - Niente, Padre. Ho il cuore grosso. Il cuore mi dice che arriva il finimondo -.
Con tutta la comunione in corpo era più furbo che mai, quel diavolo di Vito Scardo, e non diceva altro. Ma il guardiano tirò un sospirone. Il finimondo, per un servo di Dio della taglia di fra Giobattista, doveva essere la vittoria dei regi e della podestà legittima. - Gli era rimasto sempre sullo stomaco quel religioso. - Fra Mansueto invece, giallo come un morto, lo aspettò nel corridoio per raccomandarsi a lui.
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