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      Invano suor Maria Faustina, che ai suoi anni era nemica di ogni novità, rifiutava il permesso, anche per riguardo a don Matteo Curcio, che era il cappellano ordinario del monastero. Le monache ricorrevano al vicario, all'arciprete, sino al vescovo, inventavano dei peccati riservati, si lamentavano che don Matteo Curcio era duro d'orecchio, e non dava quasi retta: - Gnora sì - Gnora no - Ho inteso - Tiriamo innanzi -. Qualcheduna giunse ad accusarlo di far cascare le penitenti in distrazione, con quella barba sudicia di otto giorni, che in un servo di Dio non ispirava alcuna devozione.
      Invece i due padri forestieri, quelli sì che sapevano fare! L'uno, padre Amore, che portava il nome con sé, un bell'uomo che si mangiava l'aria, e faceva tremar la chiesa in certi passi della predica; e padre Cicero, un artista nel suo genere, tutto san Giovanni Crisostomo, col miele alle labbra. I peccati sembravano dolci a confidarli nel suo orecchio. E la bella maniera che aveva di consolare! - Sorella mia, la carne è fragile. - Siamo tutti indegni peccatori. - Buttatevi nelle braccia del Divino Amore -. Allorché vi sussurrava all'orecchio certe parole, con la sua voce insinuante, con le pupille color d'oro che vi frugavano addosso attraverso la grata, sembrava che vi s'insinuasse nella coscienza, quasi l'accarezzasse, talché quando levava per assolvervi quella bella mano fine e bianca, vi veniva voglia di baciarla.
      Qualche disordine s'era notato sin da principio. C'erano state delle mormorazioni a causa di suor Gabriella la quale accaparravasi padre Amore tutte le mattine, e lo sequestrava al confessionale per delle ore, quasi ella avesse il jus pascendi perché discendeva dal Re Martino.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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