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      Essa pure, l'Agnesina, il bene che le volevano se lo meritava. Buona, amorevole, ubbidiente, quando le avevano fatto vedere lo sposo attraverso la grata - una lontana parente - e la mamma le aveva detto all'orecchio: - È quello lì. Ti piace? - Essa aveva chinato il viso, rosso qual brace:- Sì -. Poi, successa la catastrofe, come le fecero intendere che bisognava rinunziare a don Giacomino e darsi a Dio, chinò il capo di nuovo e disse: - Sì -.
      Era stato il giorno di Pasqua che glielo avevano fatto conoscere, quel cristiano. L'aspettava, lo sapeva quasi. Le avevano messo in capo quel brulichìo le confidenze delle amiche, le visite insolite delle parenti di lui, certe mezze parole della mamma... Ah, che festa quella mattina che la mamma le aveva fatto dire di scendere in parlatorio, dopo le funzioni! Che dolcezza nel suono dell'organo, quante visioni nelle nuvolette azzurre che recavano sino al coro il profumo dell'incenso! Che batticuore in quell'attesa! Ogni cosa che rideva, ogni cosa che risplendeva d'oro e di sole, ogni cosa che sembrava trasalire allo scalpiccìo della gente che entrava in chiesa, quasi aspettasse, quasi sapesse già... Non lo dimenticò più quel giorno di Pasqua, la poveretta. Ancora, dopo tanti anni, quando udiva lo scampanìo allegro che correva su tutto il paese, le sembrava di rivedere il giardinetto tutto in fiore, le compagne appollaiate alle finestre, un cinguettìo di passeri, un chiacchierìo giulivo di voci note e care, un ronzìo nelle orecchie, uno sbalordimento, e lui, quel giovine, col sorriso già bell'e preparato, e la destra nel panciotto, e l'occhiata tenera che sembrava sfuggirgli suo malgrado, in mezzo ai suoi parenti, al di là della soglia del portone spalancato.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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