La mamma faceva segno ad Agnese di stare attenta e di badare a ciò che diceva lui, che doveva essere il padrone. Un giorno egli le aveva regalato un bel paio d'orecchini, e aveva voluto metterglieli colle sue stesse mani, in presenza della mamma. Come passavano quei giorni! Le ore in cui egli era lì, vicino a lei, le ore in cui essa l'aspettava, le ore in cui pensava a lui - le sue parole, il suono della sua voce, i menomi gesti, tutto - col cuore gonfio, colla testa piena di lui, china sul lavoro, agucchiando allato alla mamma. La mamma sembrava che le penetrasse nell'anima, con quegli occhi amorosi che la covavano, se taceva, in tutto quel che diceva, fin nei consigli che le dava intorno al taglio di un corpetto o pel ricamo di un guanciale su cui dovevasi posare il capo della sua figliuola, accanto a quello dello sposo. Ci pensava spesso la giovinetta, col viso chino, facendosi rossa fino al collo. E la mamma sembrava che le leggesse il pensiero dolce negli occhi fissi ed assorti, che ne giubilasse anche lei, povera vecchia, senza alzare gli occhi dal lavoro, fingendo di non vedere, quando il giovane cercava di nascosto la mano tremante della ragazza, quella volta che approfittando della confusione di tutto il parentado venuto a farle visita le sfiorò il viso fra un uscio e l'altro, come a caso. Venivano spesso i parenti e le amiche, tutti che pigliavano parte alla gioia comune. C'era un'aria di festa nella casa, nei mobili ripuliti, nei mucchi di biancheria sparsi qua e là, nel va e vieni di sarte e di operaie, nelle donne che cantavano affaccendate.
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Agnese
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