- Posso fidarmi di quel birbante?
- Ti accompagno io, - tagliò corto la zia. - Mastro Nunzio è un galantuomo -.
La sera stessa, dopo chiusa la bottega, si riunirono nella merceria loro quattro, lei, Bruno e i Marzà, per dire ciascuno la sua ragione. Bruno stava zitto e grullo, mastro Nunzio guardava in terra. Nunziata versava il vino nei bicchieri, e toccò quindi a comare Menica parlare:
- Bisogna finirla. È una porcheria. Tutto il paese non discorre d'altro. Io non me ne vado di qui se prima non si conclude il matrimonio -.
Nunziata allora si mise a piangere. Bruno guardava ora lei e ora suo padre. La ragazza infine, vedendo che non diceva nulla, prese a sfogarsi:
- Ditelo voi stessa, comare Menica!... Dopo avermi lusingata per tanto tempo! Dopo tanti giuramenti! E quello che ho fatto per lui... che sarebbe meglio buttarmi nel pozzo, adesso!
- Io non mi tiro indietro, - borbottò lui. - Per me non manca.
- Dunque per chi manca? - conchiuse la zia Menica, guardando ora il padre ed ora la figlia.
Nessuno aprì più bocca, finché Bruno s'alzò in piedi, e prese un bicchiere dal banco.
- Guardate! - disse. - Che questa grazia di Dio possa mutarsi in veleno se dico bugia! Della dote non me ne importa nulla. Quanto a me la sposerei anche senza camicia.
- Questo no, - interruppe la zia Menica. - Mastro Nunzio conosce il suo dovere.
- Bene. Dunque quello che dà lo dà a sua figlia. Voglio le 100 onze nel suo interesse. Ci ha lavorato anche lei, colla merceria, sì o no? -
Qui Nunziata prese le sue parti, e disse che era vero.
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