- Quante ricchezze aveva ingoiate il fuoco, quanti campi aveva distrutto, quanto erano distanti i boschi del barone A. e quanto potevano valere i nocciuoleti del marchese B. minacciati dell'eruzione. - Insomma i particolari più desolanti, come il pepe della pietanza, che vi facevano sospirare dal piacere pensando che non ci avevate nemmeno un palmo di terra da quelle parti.
Un tale, il giorno prima, vi possedeva una vigna che gli fruttava 3000 lire all'anno, una ricchezza, sebbene non avesse altro, per sé e per la sua numerosa famiglia. Tutt'a un tratto vennero a dirgli che il fuoco si divorava la sua ricchezza, e lo lasciava povero e pazzo, come si dice. Egli accorse a cavallo dell'asino, e trovò il vignaiuolo affaccendato a levare le imposte del palmento, e le tegole del tetto, le doghe delle botti, tutto ciò che si poteva salvare, come avevano fatto quei del casolare. Il padrone, giungendo alla porta senz'uscio del palmento, dinanzi alla sua vigna che gli fumava e gli crepitava sotto gli occhi, filare per filare, domandò al vignaiuolo con la faccia bianca; - Perché avete levato le tegole e le imposte, e le doghe delle botti? - Per salvarle dal fuoco - rispose il contadino. - Il fuoco fra tre ore sarà qui. - Lasciate stare ogni cosa, - disse il padrone. - Io non ho più bisogno di palmento, né avrò più cosa metterci nelle botti. Io non ho più nulla . - Egli non aveva nemmeno la zappa da camparsi la vita, come il suo vignaiuolo. Poi baciò il cancello della vigna, che ancora rimaneva in piedi, e se n'andò, tirandosi dietro l'asinello.
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