L'uomo era tutto in quella voce, in quell'inno, in quella letizia: il viso scorgevasi appena, come trasfigurato, nell'ombra del pulpito: degli occhi luminosi, ardenti di fede, pieni di visioni celesti, il viso pallido ed ascetico, immateriale, il segno austero della tonsura sui capelli giovanili, e la mano bianca ed immacolata che accennava, essa sola in luce, fuori della nicchia scura, e pareva stendersi verso le peccatrici, per sollevarle al cielo in un amplesso di perdono e d'affetto, dopo essersi levata minacciosa a fulminare, dopo esser scesa a frugare nei cuori, dopo aver sentito palpitare la tentazione, e i fremiti e le ribellioni della carne. Ora quella mano facevasi lieve, morbida e carezzevole, al pari della voce che addolcivasi in un mormorio affettuoso e in una promessa soave, nella quale passava l'alito di caritā, di pietā immensa, e si umiliava, e implorava, e facevasi complice delle povere anime turbate e derelitte, per incoraggiarle, sostenerle e attirarle a Dio.
Egli parlava rivolto al coro, quasi attratto anch'esso dalla simpatia ardente che vi destava, come indovinasse i cuori che rispondevano al suo e gli si aprivano sitibondi. Ivi pure delle teste tonsurate si chinavano, delle labbra tremavano commosse, dei veli candidi palpitavano sui seni incontaminati, sfiorati soltanto dai fremiti che sorgono nelle tenebre, nelle notti irrequiete e paurose.
Il sagrestano s'alzō d'appič del pulpito e andō ad accendere le altre candele dell'altare - una gloria di fiammelle tremolanti, delle gocce di splendore nella mattinata limpida, nella gaiezza primaverile, nel profumo dei fiori, e dell'incenso, nel suono grave dell'organo che levavasi dalle profonditā misteriose del coro - un canto alato, un inno di grazie e di gloria che irrompeva, e libravasi al cielo trionfante.
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Dio
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