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      Fra le monache raccolte nel coro una voce bella e fresca intuonò il Tantum ergo, una voce di donna che sembrava cantare la giovinezza, l'amore, il sogno, l'azzurro, i fiori e la vita in quell'inno religioso, una voce che aveva le lagrime, le estasi, i sorrisi, la gioventù, la bellezza, e li deponeva trepidante ai piedi dell'altare. Il frate orava in ginocchio, a capo chino. Sembrava che a quel canto si riverberassero delle sfumature rosee sulla nuca bianca d'adolescenza casta e prolungata. Egli stesso sembrava quasi immateriale fra le pieghe molli della tonaca nera che cadeva sui gradini dell'altare, simile a una veste muliebre. Poi sorse un'irradiazione abbagliante, una gloria di raggi che ecclissò, nell'aureola dell'ostensorio gemmato, l'uomo segnato dalla stola d'oro, come in una croce, sulla cotta spumante di trine al pari di un abito da sposa. Tutte le teste si prostrarono umiliate. Le campane squillarono alte in un coro festante, insieme alle note gravi e sonore dell'organo che vibravano sotto la vòlta dorata della chiesa, irrompevano dalle finestre dipinte, pel cielo azzurro, nella primavera gioconda, sotto il sole radioso, mentre il canto moriva in un'estasi sovrumana.
      Suor Crocifissa era rimasta accanto all'organo, colle mani ancora erranti sulla tastiera, le labbra palpitanti dell'inno d'amore mistico, smarrita nella visione interiore di quegli splendori che alla sua anima esaltata dalla musica, dalla reclusione, dal digiuno, dal cilicio e dalla preghiera in comune recavano uno sgomento e una dolcezza nuova della vita, un turbamento degli echi e degli incitamenti che venivano a morire sotto le mura del convento colla canzone errante, coi rumori del vicinato, colla carezza della luna che entrava dall'alta inferriata a posarsi sul lettuccio verginale, e tentava il mistero pudibondo della cella solitaria, e vi destava le curiosità timide, le fantasie vagabonde, e gli scrupoli vaghi che annidavansi nell'ombra.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





Tantum Crocifissa