E appena si guardarono in viso la prima volta tornarono a guardarsi, ella facendosi sempre pallida. - E dopo, nella semioscurità del teatro che concentrava una sensazione estraumana, lo sfolgorio delle scene, e l'ebbrezza delle piene orchestre, egli si impadronì risoluto delle piccole mani tremanti, e le tenne strette quanto durò la loro stagione d'amore.
Dolce stagione che dileguò al pari della visione scenica! - Dolce musica che respirava - gli incanti svaniti colla grazia un po' triste e la tenerezza penetrante delle cose che non son più - là, in quell'altro teatro di un altro paese dove si erano trovati insieme l'ultima volta, ancora accanto, e pure tanto lontani!
Milano, 10 giugno 1900
“NEL CARROZZONE DEI PROFUGHI” (FRAMMENTO III)
Nel carrozzone dei profughi, due povere donne sedute accanto, col fagotto della roba che avevano avuto al Municipio sulle ginocchia, si narravano i loro guai. Anzi una non parlava più; guardava nella folla con certi occhi stralunati, quasi cercando la figlia che le avevano detto fosse stata salvata da un giovanotto quando trassero anche lei dalle fiamme e dalle macerie. Una ragazza bella come il sole, che chi l'aveva vista una volta l'avrebbe riconosciuta fra mille. L'avevano vista rifugiata sotto un portone - tra i feriti del Savoja - alla stazione. Tutti l'avevano vista, fuori che lei! Dalla stazione aveva visto soltanto la sua casa che bruciava, per due ore, sinché il treno stette lì. E ora, mentre cercava la sua creatura fra la gente, da otto giorni, e pensava a lei che forse la cercava e chiamava aiuto, vedeva ancora quella distruzione e quell'incendio come un rifugio, una disperata certezza.
| |
Municipio Savoja
|