Appena fui seduto per mandar giù “un po' di quel che c'era”, comparve sull'uscio la ragazza della compagnia.
- Scusi. Avrebbe, per caso, due lire e settantacinque di spiccioli, in piacere?
- Ecco.
- Grazie. Ora torno -.
Tornò infatti, collo stesso risolino di palcoscenico. - Che vuole? Scusi tanto. I nostri comici sono tutti fuori. Appena tornano...
- Oh, faccia a suo comodo.
- Buon appetito allora - disse sorridendo anche al piatto che recava l'ostessa.
- E a lei pure, giacché vedo ch'è l'ora...
- Oh, noi... I nostri uomini sono stati invitati a fare una scampagnata dai signori del paese...
- Se vuol favorire dunque...
- Anzi... Molto gentile. Se permette, lo dico anche alla mia amica ch'è napoletana e le piacciono tanto gli spaghetti.
- Tanto piacere anche la sua amica napoletana -.
L'ostessa non se lo fece neanche dire e tornò indietro per gli altri spaghetti. La napoletana si fece pregare un po', di là, ma venne lei pure, col salutino del pubblico.
- Il nostro soprano. Una voce! Dovrebbe venire a sentirci, domani sera.
- Domani sera spero di essere a casa mia, finalmente.
- Peccato! Qui non si recita che il sabato e la domenica sera, perché gli altri giorni il nostro pubblico è occupato nelle zolfare - .
Il soprano, più contegnoso, si occupava a mandar giù gli spaghetti in punta di forchetta, quasi fosse già il sabato o la domenica sera, dinanzi al pubblico .
- Una vera diva!... E vederla in costume, con quel décolleté!... - La diva protestò levando su la forchetta col gomitolo di spaghetti, o per poca modestia, o perché il décolleté non fosse troppo in bella vista.
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