— Ecco che se ne viene l'inverno, e tutto ciò non si potrà fare prima dell'estate, osservò compar Alfio. Mena cogli occhi seguiva l'ombra delle nuvole che correva per i campi, come fosse l'ulivo grigio che si dileguasse; così correvano i pensieri della sua testa, e gli disse: — Sapete, compare Alfio, di quella storia del figlio di padron Fortunato Cipolla non ce n'è nulla, perché prima dobbiamo pagare il debito dei lupini.
— Io ci ho piacere, rispose Mosca, ché così non ve ne andate dal vicinato.
— Ora poi che torna 'Ntoni da soldato, col nonno e tutti gli altri, ci aiuteremo per pagare il debito. La mamma ha preso della tela da tessere per la Signora.
— Bel mestiere anche quello dello speziale! osservò Mosca.
In questa spuntò nella viottola comare Venera Zuppidda, col fuso in mano. — Oh! Dio! esclamò Mena, vien gente! e scappò dentro.
Alfio frustò l'asino, e se ne voleva andare anche lui.
— Oh compare Alfio, che fretta avete? gli disse la Zuppidda; volevo domandarvi se il vino che portate alla Santuzza è della stessa botte di quello della settimana scorsa.
— Io non lo so; il vino me lo danno nei barili.
— Aceto da fare l'insalata! rispose la Zuppidda, un vero veleno; così si è fatta ricca la Santuzza, e onde gabbare il mondo si è messo sul petto l'abitino di Figlia di Maria. Belle cose che copre quell'abitino! Al giorno d'oggi per andare avanti bisogna fare quel mestiere là; se no si va indietro al modo dei gamberi, come i Malavoglia. Ora hanno pescato la Provvidenza, lo sapete?
— No, io non ci sono stato qui; ma comare Mena non sapeva nulla.
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