Invece certuni torcevano il muso e gli voltavano le spalle, dicendo: — Il re vuol essere lui. Lo speziale è di quelli della rivoluzione, per affamare la povera gente! E se ne andavano piuttosto all'osteria della Santuzza, dove c'era buon vino che scaldava la testa, e compare Cinghialenta e Rocco Spatu facevano per dieci. Ora che si ricominciava la canzone delle tasse si sarebbe parlato nuovamente di quella del pelo, come la chiamavano la tassa sulle bestie da soma, e di aumentare il dazio sul vino. — Santo diavolone! stavolta andava a finir male, per la madonna!
Il vino buono faceva vociare, e il vociare metteva sete, intanto che non avevano ancora aumentato il dazio sul vino; e quelli che avevano bevuto levavano i pugni in aria, colle maniche della camicia rimboccate, e se la prendevano persin colle mosche che volavano.
— Questa è come una festa per la Santuzza! dicevano. Il figlio della Locca, il quale non aveva denari per bere, gridava lì fuori dell'uscio che voleva farsi ammazzare piuttosto, ora che lo zio Crocifisso non lo voleva più nemmeno a mezza paga, per quel suo fratello Menico che s'era annegato coi lupini. Vanni Pizzuto aveva anche chiuso la bottega, perché nessuno andava più a farsi radere, e portava il rasoio in tasca, e vomitava improperi da lontano, e sputava addosso a coloro che se ne andavano pei fatti loro, coi remi in collo, stringendosi nelle spalle.
— Quelli sono carogne, che non gli importa un corno della patria! sbraitava don Franco, tirando il fumo dalla pipa come se volesse mangiarsela.
| |
Santuzza Cinghialenta Rocco Spatu Santuzza Locca Crocifisso Menico Pizzuto Franco
|