Don Silvestro, senza badarci, andava a far quattro chiacchiere collo zio Santoro, e gli metteva due centesimi nella mano.
— Sia lodato Dio! esclamava il cieco, questo è don Silvestro il segretario, ché nessun'altri di tutti quelli che vengono qui a gridare e a pestare i pugni sulle panche fa un centesimo di limosina per le anime del Purgatorio, e vengono a dire che vogliono ammazzarli tutti, il sindaco e il segretario; l'hanno detto Vanni Pizzuto, Rocco Spatu, e compare Cinghialenta. Vanni Pizzuto s'è messo ad andare senza scarpe, per non essere conosciuto; ma io lo riconosco egualmente, che striscia sempre i piedi per terra, e fa levar la polvere come quando passano le pecore.
— A voi che ve ne importa? gli diceva sua figlia, appena don Silvestro se ne andava. Questi non sono affari nostri. L'osteria è come un porto di mare, chi va e chi viene, e bisogna essere amici con tutti, e fedeli con nessuno; per questo l'anima l'abbiamo ciascuno la sua, e ognuno deve badare ai suoi interessi, e non fare giudizi temerari contro il prossimo. Compare Cinghialenta e Spatu spendono del denaro in casa nostra. Non dico di Pizzuto che vende l'erbabianca e cerca di levarci gli avventori.
Don Silvestro poi andava a fermarsi dallo speziale, il quale gli piantava la barba in faccia, e gli diceva che era tempo di finirla, e buttar tutto a gambe in aria, e far casa nuova.
— Volete scommettere che questa volta va a finir male? ribatteva don Silvestro, mettendo due dita nel taschino del farsetto per cavar fuori il dodici tarì nuovo.
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