— Io non ne so nulla, rispose la Zuppidda, calmatasi tutt'a un tratto. — Io non me ne immischio negli affari di mio marito. So che si mangia le mani dalla collera. Io non posso far altro che andare a dirglielo, se la cosa è certa.
— Andate a dirglielo, è certo come è certo Dio, vi dico! Siamo galantuomini o no? santissimo diavolo!
La Zuppidda partì correndo a prendere suo marito, il quale stava rincantucciato nel cortile a cardar stoppa, pallido come un morto, e non voleva escire per tutto l'oro del mondo, gridando che gli facevano fare qualche sproposito, santo Dio!
Per aprire il sinedrio, e vedere che pesci si pigliavano, ci mancava ancora padron Fortunato Cipolla, e massaro Filippo l'ortolano, i quali non spuntavano mai, sicché la gente incominciava ad annoiarsi, tanto che le comari s'erano messe a filare lungo il muricciuolo della chiusa.
Infine mandarono a dire che non venivano perché avevano da fare; e il dazio, se volevano, avrebbero potuto metterlo senza di loro. — Il discorso di mia figlia Betta tale e quale! brontolava mastro Croce Giufà.
— Allora fatevi aiutare da vostra figlia Betta! esclamò don Silvestro. Baco da seta non fiatò più e continuò a masticarsi fra i denti il suo brontolio. — Ora, disse don Silvestro, vedrete che i Zuppiddi verranno loro stessi a dire che mi danno la Barbara, ma voglio farmi pregare, io.
La seduta fu sciolta senza concludere nulla. Il segretario voleva un po' di tempo per prender lume; in questo mentre era suonato mezzogiorno e le comari se n'erano andate leste leste.
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