Padron Fortunato non voleva far torto alla sua parola, se la ragazza aveva la dote, tanto più che suo figlio Brasi gli dava sempre dei grattacapi, a correre dietro le ragazze che non avevano nulla, come un baccalà che era.
— «L'uomo per la parola, e il bue per le corna», tornava a ripetere.
Mena aveva spesso il cuore nero mentre tesseva, perché le ragazze hanno il naso fine, ed ora che il nonno era sempre a confabulare con compare Fortunato, e in casa si parlava spesso dei Cipolla, ci aveva sempre la stessa cosa davanti agli occhi, come quel cristiano di compar Alfio fosse incollato sui panconi del telaio, colle immagini dei santi. Una sera aspettò sino a tardi per veder tornare compare Alfio insieme al carro dell'asino, colle mani sotto il grembiale, perché faceva freddo e tutte le porte erano chiuse, e per la stradicciuola non si vedeva anima viva; così gli diede la buona notte dall'uscio.
— Che ve ne andate alla Bicocca al primo del mese? gli disse finalmente.
— Ancora no; ci ho più di cento carichi di vino per la Santuzza. Dopo ci penserà Dio. — Ella non sapeva più che dire, intanto che compar Alfio si affaccendava nel cortile a staccare l'asino, e ad appendere gli arnesi al piuolo, e portava la lanterna di qua e di là. — Se ve ne andate alla Bicocca chi sa quando ci vedremo più! disse infine Mena che le mancava la voce.
— O perché? Ve ne andate anche voi?
La poveretta stette un pezzetto senza rispondere, sebbene fosse buio e nessuno potesse vederla in viso. Di tanto in tanto si udivano i vicini parlar dietro gli usci chiusi, e piangere i bambini, e il rumore delle scodelle, dove stavano cenando, sicché nessuno poteva udire.
| |
Fortunato Brasi Fortunato Cipolla Alfio Alfio Bicocca Santuzza Dio Alfio Bicocca Mena
|