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      Lo zio Crocifisso andava scopando coi piedi la paglia e i cocci, e raccolse anche da terra un pezzo di cappello che era stato di Bastianazzo, e lo buttò nell'orto, dove avrebbe servito all'ingrasso. Il nespolo intanto stormiva ancora, adagio adagio, e le ghirlande di margherite, ormai vizze, erano tuttora appese all'uscio e le finestre, come ce le avevano messe a Pasqua delle Rose.
      La Vespa era venuta a vedere anche lei, colla calzetta al collo, e frugava per ogni dove, ora che era roba di suo zio. — Il «sangue non è acqua» — andava dicendo forte, perché udisse anche il sordo. A me mi sta nel cuore la roba di mio zio, come a lui deve stare a cuore la mia chiusa. Lo zio Crocifisso lasciava dire e non udiva, ora che dirimpetto si vedeva la porta di compare Alfio con tanto di catenaccio. — Adesso che alla porta di compare Alfio c'è il catenaccio, vi metterete il cuore in pace, e lo crederete che non penso a lui! diceva la Vespa all'orecchio dello zio Crocifisso.
      — Io ci ho il cuore in pace! rispondeva lui: sta tranquilla.
      D'allora in poi i Malavoglia non osarono mostrarsi per le strade né in chiesa la domenica, e andavano sino ad Aci Castello per la messa, e nessuno li salutava più, nemmeno padron Cipolla, il quale andava dicendo: — Questa partaccia a me non la doveva fare padron 'Ntoni. Questo si chiama gabbare il prossimo, se ci aveva fatto mettere la mano di sua nuora nel debito dei lupini!
      — Tale e quale come dice mia moglie! aggiungeva mastro Zuppiddu. Dice che dei Malavoglia adesso non ne vogliono nemmeno i cani.


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I Malavoglia
di Giovanni Verga
pagine 309

   





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