La sera, quando tutti i suoi erano in casa, coll'uscio chiuso, mentre la Longa intonava il rosario, se la godeva a vederseli vicini, e li guardava in faccia ad uno ad uno, e guardava i muri della casa, e il cassettone colla statuetta del Buon Pastore, e il deschetto col lume sopra; e ripeteva sempre: — Non mi par vero di essere ancora qui, con voialtri.
La Longa diceva che lo spavento le aveva messo un gran rimescolio nel sangue e nella testa, ed ora le pareva di non averci più davanti agli occhi quei due poveretti che erano morti, e sino a quel giorno le eran rimasti come due spine dentro il petto, tanto che era andata a confessarsene con don Giammaria. Però il confessore le aveva data l'assoluzione, perché coi disgraziati succede così, che una spina scaccia l'altra, e il Signore non vuole ficcarcele tutte in una volta, perché si morirebbe di crepacuore. Le erano morti il figlio e il marito; l'avevano scacciata dalla casa; ma adesso era contenta che fosse riescita a pagare il medico e lo speziale, e non doveva più niente a nessuno.
A poco a poco il nonno era arrivato a dire: — Datemi da fare qualche cosa, così non so starci, senza far nulla. Rattoppava delle reti; e intrecciava delle nasse; poi cominciò ad andare col bastoncello sino al cortile di mastro Turi, a vedere la Provvidenza, e stava lì a godersi il sole. Infine era tornato a imbarcarsi coi ragazzi.
— Tale e quale come i gatti! diceva la Zuppidda; che se non danno il naso per terra son sempre vivi!
La Longa aveva pure messo sulla porta un panchettino, e vendeva arancie, noci, ova sode ed ulive nere.
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