A giornata ci andava proprio perché il nonno ve lo conduceva, e non gli bastava ancora l'anima di dir di no. Ma quando il soprastante gli stava addosso come un cane, e gli gridava dalla poppa: — Oh! laggiù, ragazzo! che facciamo? gli veniva voglia di dargli del remo sulla testa, e preferiva starsene ad aggiustare le nasse, e rifare le maglie delle reti, seduto sulla riva, colle gambe distese, e la schiena appoggiata ai sassi; che allora se pure stava un momento colle mani sotto le ascelle nessuno gli diceva nulla.
Là veniva anche a stirarsi le braccia Rocco Spatu, e Vanni Pizzuto, quando non aveva che fare, fra una barba e l'altra, ed anche Piedipapera, che era il suo mestiere di chiacchierare con questo e con quello per cercare le senserie. E si discorreva di ciò che succedeva in paese, di quello che donna Rosolina aveva raccontato a suo fratello, sotto il sigillo della confessione, quando era stato il tempo del colèra, che don Silvestro le aveva truffato le 25 onze, e non poteva andare dal giudice, perché le 25 onze donna Rosolina le aveva rubate a suo fratello il vicario, e si sarebbe saputo il motivo per cui aveva dato in mano a don Silvestro quel denaro, per sua vergogna.
— Poi, osservò Pizzuto, donde l'erano venute le 25 onze a donna Rosolina? «Roba rubata non dura».
— Almeno erano sempre nella casa, diceva Spatu; se mia madre avesse 12 tarì, e glieli prendessi, che passerei per ladro?
Di ladro in ladro vennero a parlare dello zio Crocifisso, il quale aveva perso più di 30 onze, dicevano, con tanta gente che era morta di colèra, e gli erano rimasti i pegni.
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