Tutt'a un tratto si trovò davvero naso a naso con don Michele, il quale ronzava lì intorno anche lui; colla pistola sulla pancia e i calzoni dentro gli stivali. Allora 'Ntoni si calmò di botto, e tutti e tre si allontanarono quatti quatti, verso la bottega di Pizzuto. Arrivati dietro l'uscio, adesso che don Michele era ben lontano, 'Ntoni volle a forza che si fermassero per udire quello che diceva.
— Lo vedete dove andava don Michele? e la Santuzza che diceva d'aver sonno! Adesso come faranno se c'è tuttora massaro Filippo nella stalla?
— E tu lascia stare don Michele — disse Cinghialenta, così ci lascerà andare pei fatti nostri.
— Voi altri siete tante canaglie! disse 'Ntoni, che avete paura di don Michele.
— Stasera sei ubbriaco! ma ti farei vedere se ho paura di don Michele! Ora che ho venduto il mulo non voglio che nessuno venga a vedere come mi guadagno il pane, sangue di un cane!
Là si misero a cianciare a voce bassa a ridosso del muro, intanto che lo scroscio della pioggia copriva i loro discorsi. Ad un tratto suonarono le ore, e tacquero tutti e quattro per stare ad ascoltare.
— Entriamo da compare Pizzuto, disse Cinghialenta. Egli è padrone di tenere la porta aperta sino che vuole, e senza lume fuori.
— È scuro che non ci si vede! disse il figlio della Locca.
— Bisogna bere qualche cosa, col tempo che fa; rispose Rocco Spatu. Se no ci romperemo il naso nella sciara.
Cinghialenta si mise a brontolare: — Come se andassimo a giuocare! Ora vi farò dare dell'acqua col limone da mastro Vanni.
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