Allora successe un momento di silenzio, e compare Vanni, per finirla, andò a riempire tre bicchieri di erbabianca.
— Me ne impipo delle guardie! esclamò Rocco Spatu dopo che ebbe bevuto. — Peggio per loro se vengono a mettere il naso nei fatti miei; ho qui il mio temperino che non fa tanto chiasso come le loro pistole.
— Noi ci buschiamo il pane come possiamo, e non vogliamo far male a nessuno! aggiunse Cinghialenta. — O che uno non è più padrone di farsi sbarcare la roba dove vuole?
— Loro stanno a spasso come i ladri, per farsi pagare il dazio di ogni fazzoletto da naso che volete portare a terra, e nessuno li prende a schioppettate; aggiunse 'Ntoni Malavoglia. — Sapete cos'ha detto don Giammaria? che rubare ai ladri non è peccato. E i primi ladri son quelli coi galloni, che ci mangiano vivi.
— Vogliamo farne tonnina! conchiuse Rocco Spatu, cogli occhi lucenti al pari di un gatto.
Ma a quel discorso il figlio della Locca posò il bicchierino senza accostarlo alla bocca, giallo come un morto.
— Che sei già ubbriaco? gli chiese Cinghialenta.
— No, rispose lui, non ho bevuto.
— Esciamo fuori che l'aria aperta farà bene a tutti. Buona notte a chi resta.
— Un momento! gridò Pizzuto colla mano sul battente. — Non è pei soldi dell'erbabianca; questa ve l'ho data per niente, come amici che siete; ma vi raccomando, eh! La mia casa è qui per voi altri, se l'affare va bene. Sapete che ci ho lì dietro una camera dove ci starebbe un bastimento di roba, e nessuno ci mette il naso, ché con don Michele e le sue guardie siamo come pane e cacio.
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