L'avvocato intanto chiacchierava sottovoce col suo vicino, come se non fosse stato fatto suo.
— Per stavolta, mormorava la Zuppidda all'orecchio della vicina, udendo tutte quelle porcherie che 'Ntoni aveva fatto, la galera non gliela levano di certo.
C'era anche la Santuzza, per dire alla giustizia dove era stato 'Ntoni e dove aveva passata quella sera. — Guardate cosa vanno a domandare alla Santuzza, borbottava la Zuppidda. Son curiosa di sentire cosa risponderà, per non spiattellare alla giustizia tutti i fatti suoi.
— Ma da noi che vogliono sapere? domandò comare Grazia.
— Vogliono sapere se è vero che la Lia se la intendeva con don Michele, e che suo fratello 'Ntoni abbia voluto ammazzarlo per tagliarsi le corna; me l'ha detto l'avvocato.
— Che vi venga il colèra! soffiò loro lo speziale facendo gli occhiacci. Volete che andiamo tutti in galera? Sappiate che colla giustizia bisogna dir sempre di no, e che noi non sappiamo niente.
Comare Venera si rincantucciò nella mantellina, ma seguitò a borbottare. — Questa è la verità. Li ho visti io cogli occhi miei, e lo sa tutto il paese.
Quella mattina nella casa dei Malavoglia c'era stata una tragedia, che il nonno, come aveva visto partire tutto il paese, per andare a sentire condannare 'Ntoni, aveva voluto correre cogli altri, e Lia, coi capelli arruffati, gli occhi pazzi e il mento che ballava, avrebbe voluto andare anche lei, e cercava la mantellina per la casa senza dir nulla, ma colla faccia stravolta e le mani tremanti. Mena però l'aveva afferrata per le mani, pallida anche lei, e le diceva: — No, tu non ci devi andare! tu non ci devi andare!
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