Finalmente compare Mosca si alzò per andarsene, perché il suo mulo scuoteva la sonagliera, quasi l'avesse conosciuta anch'esso colei che compar Alfio aveva incontrata per la strada, e che adesso non l'aspettavano più nella casa del nespolo.
Lo zio Crocifisso invece aspettava da un pezzo i Malavoglia per quella casa del nespolo che nessuno la voleva, come se fosse scomunicata, e gli era rimasta sulla pancia; sicché appena seppe che era tornato in paese Alfio Mosca, quello cui voleva far rompere le ossa a bastonate, quand'era geloso della Vespa, andò a pregarlo che s'intromettesse coi Malavoglia per fargli conchiudere il negozio. Adesso quando l'incontrava per le strade lo salutava, e cercava di mandargli anche la Vespa per parlargli di quell'affare, chissà che non si fossero rammentati dell'amore antico, nello stesso tempo, e compare Mosca non riescisse a levargli quella croce di su le spalle. Ma quella cagna della Vespa non voleva sentir parlare di compar Alfio, né di nessuno, adesso che ci aveva il suo marito ed era padrona in casa, e non avrebbe cangiato lo zio Crocifisso con Vittorio Emanuele in carne ed ossa, neanche se l'avessero tirata pei capelli. — Mi toccano tutte a me, le disgrazie! — si lamentava lo zio Crocifisso; e andava a sfogarsi con compare Alfio, e si picchiava il petto come davanti al confessore, di aver pensato a pagare dieci lire per fargli rompere le ossa a bastonate.
— Ah! compare Alfio! se sapeste che rovina è capitata nella mia casa, che non dormo né mangio più, e non faccio altro che della bile, e non sono più padrone di un baiocco del fatto mio, dopo aver sudato tutta la vita ed essermi levato il pan di bocca per raggranellarlo a soldo a soldo.
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