La Zuppidda adesso predicava che il capo della casa era suo marito, ed egli era il padrone di maritare la Barbara con chi gli piaceva, e se voleva darla a don Silvestro voleva dire che gliela aveva promessa, e aveva chinato il capo; e quando suo marito aveva chinato il capo, era peggio di un bue.
— Già! sentenziava don Franco colla barba in aria, — ha chinato il capo perché don Silvestro è di quelli che tengono il manico nel mestolo.
Dacché era stato al tribunale in mezzo a tutti quegli sbirri, don Franco era più arrabbiato di prima, e giurava che non ci sarebbe tornato più neanche in mezzo ai carabinieri. Allorché don Giammaria alzava la voce per discutere, ei gli piantava le unghie negli occhi, rizzandosi sulle gambette, rosso come un gallo, e lo cacciava in fondo alla bottega. — Lo fate apposta per compromettermi! — gli sputava in faccia colla schiuma alla bocca; e se due quistionavano nella piazza, correva a chiudere l'uscio acciò non lo chiamassero per testimonio. Don Giammaria era trionfante; quell'asparagio verde aveva del coraggio quanto un leone, perché ci aveva la tonaca sulle spalle, e sparlava del governo, pappandosi la lira al giorno, e diceva che se lo meritavano quel governo, giacché avevano fatto la rivoluzione, e ora venivano i forestieri a rapire le donne e i denari della gente. Ei sapeva di chi parlava, che gli era venuta l'itterizia dalla collera, e donna Rosolina era dimagrata dalla bile, massime dopo che se n'era andato don Michele, e s'erano sapute tutte le porcherie di quest'altro.
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