Adesso non faceva che andare a caccia di messe e di confessori, di qua e di là, sino all'Ognina e ad Aci Castello, e trascurava la conserva dei pomidoro e il tonno sottolio, per darsi a Dio.
Don Franco allora si sfogava mettendosi a ridere come una gallina, all'uso di don Silvestro, rizzandosi sulla punta dei piedi, coll'uscio spalancato a due battenti, che per questo non c'era pericolo d'andare in prigione; e diceva che finché ci sarebbero stati i preti era sempre la stessa cosa, e bisognava fare tavola rasa, s'intendeva lui, trinciando colla mano in giro.
— Io per me li vorrei tutti arsi! rispondeva don Giammaria, che intendeva anche lui di chi parlava.
Ora lo speziale non teneva più cattedra; e quando veniva don Silvestro, andava a pestare i suoi unguenti nel mortaio, per non compromettersi. Già tutti quelli che bazzicano col governo, e mangiano il pane del re, son tutta gente da guardarsene. E si sfogava soltanto con don Giammaria, e con don Ciccio il medico, quando lasciava l'asinello alla spezieria per andare a tastare il polso a padron 'Ntoni, e ricette non ne scriveva, perché diceva che erano inutili, con quella povera gente che non aveva denari da buttar via.
— Allora perché non lo mandano all'ospedale, quel vecchio? tornavano a dire gli altri, — e perché se lo tengono in casa a farselo mangiare dalle pulci?
Tanto che, pesta e ripesta, il medico ripeteva che andava e veniva per niente, e faceva il viaggio del sale, e allorché c'erano le comari davanti al letto del malato, comare Piedipapera, la cugina Anna o la Nunziata, predicava sempre che se lo mangiavano le pulci.
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