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      — O che credeva? sbraitava comare Venera colle mani sui fianchi, — di prendersi mia figlia colla carestia? Stavolta comando io! e gliel'ho fatta capire a mio marito! Chi è buon cane mangia al trogolo; forestieri non ne vogliamo per la casa. Una volta in paese si stava meglio, quando non erano venuti quelli di fuori a scrivere sulla carta i bocconi che vi mangiate, come don Silvestro, o a pestare fiori di malva nel mortaio, e ingrassarsi col sangue di quei del paese. Allora ognuno si conosceva, e si sapeva quel che faceva, e quel che avevano sempre fatto suo padre e suo nonno, e perfino quel che mangiava, e quando si vedeva passare uno si sapeva dove andava, e le chiuse erano di quelli che c'erano nati, e il pesce non si lasciava prendere da questo e da quello. Allora la gente non si sbandava di qua e di là, e non andava a morire all'ospedale.
      Giacché tutti si maritavano, Alfio Mosca avrebbe voluto prendersi comare Mena, che nessuno la voleva più, dacché la casa dei Malavoglia s'era sfasciata, e compar Alfio avrebbe potuto dirsi un bel partito per lei, col mulo che ci aveva; così la domenica ruminava fra di sé tutte le ragioni per farsi animo, mentre stava accanto a lei, seduto davanti alla casa, colle spalle al muro, a sminuzzare gli sterpolini della siepe per ingannare il tempo. Anche lei guardava la gente che passava, e così facevano festa la domenica: — Se voi mi volete ancora, comare Mena, disse finalmente, io per me son qua.
      La povera Mena non si fece neppur rossa, sentendo che compare Alfio aveva indovinato che ella lo voleva, quando stavano per darla a Brasi Cipolla, tanto le pareva che quel tempo fosse lontano, ed ella stessa non si sentiva più quella.


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I Malavoglia
di Giovanni Verga
pagine 309

   





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