Da mezzodì a questa parte già qualche strana cosa mi è capitata. Giungendo all'armata non vi ho conosciuta veruna regolarità; di tratto in tratto ho incontrato tende di vivandieri e mercanti; chiesi del quartier generale e mi fu indicato. Promisi di regalare il postiglione affinché restasse coi cavalli in un prato colla mia gente e col mio carrettino, sul quale ho la tenda, il letto e qualche mio arnese, perché, non sapendo se vi sia al campo il mio Federico co' miei cavalli, non sapevo di quali servirmi per collocare al mio alloggio l'equipaggio. Poi preso meco il cameriere di Vienna, m'incamminai alla casa ove alloggia il maresciallo. Avanti la porta di quella casa eravi, come sempre, una compagnia di granatieri con due sentinelle. Entrai. Tutto era in moto pel pranzo. Un ufficiale dello stato maggiore interrogato da me se si poteva presentarsi a Sua Eccellenza, rispose che andava allora a tavola, e conoscendo ch'io era un ufficiale che veniva da Vienna, e che aveva una lettera pel maresciallo, pulitamente mi invitò a pranzare ad un tavolino con lui e un altro aiutante generale, che poi finito il pranzo mi avrebbe annunziato. Accettai l'invito e fummo serviti bene. Durante il pranzo chiesi a quei due che erano del quartier generale, se l'inimico che avevamo di fronte fosse il re ovvero il principe Enrico, non lo sapevano; se era lontano o vicino, se era forte più o men di noi, a quanto ascendesse la nostra armata, a nessuna di queste questioni seppero né l'uno né l'altro rispondere, eppure uno era aiutante generale del maresciallo, l'altro aiutante d'ala.
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