Spuntò il giorno che eravamo vicini a Sorau, e già cominciammo ad udire delle schioppettate. Erano i Prussiani, niente più che sei o settemila, un piccol corpo staccato dall'armata e accampato vicino a Sorau. Appena videro che venivamo sopra di loro in numero assai maggiore, i soldati più bravi dell'armata frettolosamente scamparono, ma non sì tosto poterono ritirarsi perché dovevano passare un piccol fiume sopra un sol ponte. Se da parte nostra ci fossimo contemporaneamente distribuiti ad impadronirci del ponte, erano battuti o forse presi. Io seguìto il maresciallo cogli altri, c'incamminammo sopra un'altura imminente alla città ove stava un mulino a vento. Ivi si fermò, e dalla finestra del mulino col cannocchiale stava osservando. Un certo capitano Colin, che è al quartiere generale, mi chiese cosa facevamo colà. - Non lo so per verità, risposi, io sono cogli altri. - Volete voi, mi disse, che andiamo a prendere la città di Sorau che vedete? - Prenderla? Noi due soli! - E perché no, disse; noi le intimeremo la resa, e se nessuno ci ha preceduti, avremo la gloria di questo fatto. - Così disse quel capitano. A me veramente pareva ridicolo il progetto; ma perché non sospettasse che il mio dissenso venisse da timore, mi determinai e andammo ben lesto. In breve fummo alla porta che era già aperta.- Ebbene, disse Colin, andiamo a batterci? - Andiamo, risposi, e seguendo il mio Ruggiero, c'incamminammo là ove si ascoltavano le schioppettate, e salita una riva assai alta, ci trovammo in un prato che di fronte terminava con un bosco, e nel prato gli usseri dalle due parti facevan piccolo fuoco, mentre c'inoltravamo, il Colin per pazzia, io per puntiglio, eccoti che dal bosco sbocca una turba di usseri prussiani e cannonate e una tempesta di schioppettate; i nostri usseri, che erano pochi assai, fuggono, e il mio Colin si mette a precipizio gridando in buon francese, fouttez le camp, fouttez le camp, e giù a rompicollo tutti e due da quella ripa.
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