Essi sono tutti figli di francesi rifugiati per la rivocazione dell'editto di Nantes, e sebbene siano nati in Germania, conservano il cuore francese, e cantano gli inni come gli Israeliti per ritornare alla Terra promessa. Essi sono tolleranti. La loro chiesa è una sala al primo piano sopra al pian terreno. Questa sala sembra una delle nostre scuole di grammatica e non più. Non v'è altare, non immagini, non candele o lampade. V'è una cattedra, sotto di essa un banco più elevato degli altri, ed ivi stanno i cantori, poi all'interno le panche come nella scuola. Nessuno si pone in ginocchio. All'entrare v'è uno alla porta che civilmente v'indica un sito ove potete sedere. Quei della loro comunione prima di sedere stanno un minuto ritti in piedi, e si coprono il viso col cappello, le signore invece col ventaglio; da ciò credo l'uso dei ventagli bucati, comodissimi per la curiosità femminile in non perdere i momenti. Poi ciascuno si siede. Il pastore scende alla cattedra con veste lunga, nera, collare come i preti francesi e parrucca tonda da abate, e fa il suo sermone in francese. Quello che ho ascoltato era assai ben detto, patetico, tenero, pieno di virtù. Poi si cantano dei salmi tradotti in francese, e non v'è cerimoniale. Alcune domeniche fanno la commemorazione della santa Cena, mangiano un pane, bevono del vino, ma non ho avuto occasione di vederla, tanto più che il freddo enorme di quella sala, sebbene fosse eloquente il predicatore, mi ha fatto soffrire dopo un mancamento di respiro, assai strano per me, e serio se continuava.
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