Sembra ancora che una tale condensazione della nostra sensibilità non si faccia al momento, ma con prevenzione, e apparecchio: soffriamo assai più dolore per un piccol taglio fattoci da un chirurgo, di quello che ne proviamo se una spada improvvisamente ci trapassi il corpo; nel primo caso la lacerazione sarà minima e per lo spazio, e per la finezza dell'acciaio, e ci dogliamo, mentre appena ci accorgiamo nel secondo d'essere feriti. Ciò m'induce a credere che per ammassare me stesso in una data parte del mio corpo, e trasportarvi la sede della mia sensibilità, e attentamente esaminare quanto ivi accaderà, conviene che in prima io ne sia avvisato; altrimenti diramando l'animo nostro una sensibilità eguale su tutto il nostro corpo, quella sola porzione di sensibilità è colpita nelle lacerazioni impensate, che trovavasi al luogo, in cui seguì la distrazione; e questa, se però basta a renderci quasi indifferenti i colpi non antiveduti, basta altresì ad avvisarci del danno accaduto, e condensarci poi d'intorno ad esso per una disgraziata attrazione, che ci rende più cocente il dolore. Ma queste immagini non sono appoggiate a fatti, o a sperienze tali da renderne contento un pensatore. Tale è la condizione nostra, che dei movimenti, che succedono in noi medesimi quando ci troviamo ridotti all'ultima analisi, mancano i mezzi e gli stromenti per separare gli elementi, e le fila originarie. Abbandoniamo perciò il pensiero di conoscerne l'essenza, e accontentiamoci di sapere che il dolor fisico è un sentimento cagionato dalla lacerazione delle parti sensibili.
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