Leggiamo le memorie degli uomini più illustri in qualsivoglia parte dell'umano sapere, e troveremo costantemente che o la domestica inopia, o la persecuzione, o il disprezzo altrui, ovvero i mali di una cagionevole organizzazione gli spinsero all'azione, al moto, alla fatica; la qual fatica per sè stessa è dolorosa, e non si abbraccia dall'uomo naturalmente se non quando inseguìto da un dolore ancora più grande spera in essa di ritrovare un salvamento; ella è un dolore meno grande dell'altro che si soffrirebbe senza di lei; e l'uomo, fuggendo sempre il dolore, lo abbraccia non per acquistare una quantità di esso, ma per rifiuto e fuga della porzione eccedente; ed ecco come non solamente ogni piacere, che risvegliano le scienze, e le belle arti, nasca dai dolori principalmente innominati, ma dai dolori nasca ogni spinta a conoscerle, a coltivarle, a ridurle a perfezione. Così l'idea terribile del dolore è l'archetipo di quella serie di purissimi piaceri, che fanno la delizia delle anime più delicate e sensibili.
Sebbene parlando dei dolori innominati, io principalmente gli abbia attribuiti all'azione fisica immediata dei corpi sugli organi nostri, non intendo dire perciò che una parte di questi non venga anche da sensazioni morali mal conosciute. Nella società di persone, le quali mostrino indifferenza per noi, o poca stima, proviamo un dolore innominato, e lo chiamiamo noja; quando quel sentimento è più deciso e conosciuto, lo chiamiamo umiliazione, dispetto, ec. L'amor proprio riempie l'animo nostro di sentimenti innominati qualunque volta sia offeso mediocremente, e senza grande impeto.
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