Io credo che a misura che l'uomo è più rozzo ha bisogno di oggetti più violenti per godere di uno spettacolo, e all'altra estremità pure dell'artificioso raffinamento torna ad avere lo stesso bisogno, perchè conviene adoperare un colpo più energico per conciliarci l'attenzione d'un essere difficilmente sensibile, quanto d'un essere molto occupato delle proprie idee.
§. XIII.
Schiarimento sull'indole dei dolori, e dei piaceri.
Il tempo, che passiamo con piacere, ci sembra breve, e quello, in cui soffriamo dolore lunghissimo. Il tempo relativamente a noi altro non è che la successione delle nostre sensazioni. Se un uomo potesse per degli anni di seguito restare assorbito nell'estasi di una sola idea, egli non si accorgerebbe che sia trascorso tempo. Ciò posto, se le ore del dolore ci sembrano lunghe, convien dire che molte e replicate e fitte sensazioni siansi provate durante quello spazio di tempo; onde riflettendo noi alla serie, per la quale passammo, giudichiamo essere trascorso più tempo che il pendolo non ci indica; e se le ore del piacere ci sembran brevi, convien pur dire che il tempo trascorso non fosse variato da replicate scosse e sensazioni; quindi apparisce esser il tempo del piacere una cessazione d'azione, uno stato uniforme dell'animo, e perciò giudicarsi breve perchè egli è una quantità negativa, ed un accostamento al non essere; laddove il dolore è una quantità di azione positiva, e nella rapida cessazione di lei consiste il piacere. Ecco perchè altresì il piacere per sua indole debb'esser breve, nè può protraersi oltre un corto spazio; laddove il dolore può essere tanto lungo e durevole, quanto la vita che ci può togliere; perchè una azione positiva sopra di noi non ha altri confini di tempo che la nostra sensibilità; invece una mera cessazione rapida di dolore non può allungarsi senza continuo discapito della rapidità sua, e annientata questa s'annienta il piacere, come si è detto di sopra.
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