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      Ciò non ostante nella pratica delle nostre azioni noi facciamo tacitamente paragoni continui fra il male e il bene, fra il dolore e il piacere. L'ambizioso, l'innamorato, l'avaro, il vendicativo quanti mali non affrontano, quante sensazioni dolorose spontaneamente non iscelgono, perchè giudicano praticamente che il piacere, che se ne promettono, sarà maggiore del male, che son disposti a soffrire per ottenerlo! Anche gli uomini più pacati, e non mossi da forte passione scelgono sempre fra il dolore, e il piacere, e ne fanno continuo calcolo di paragone. L'uscir di casa con un tempo cattivo, l'attraversare un lungo cammino a piedi, l'uscir di buon'ora da letto ove mollemente ti giaceresti, il differire a cibarti ec., sono piccoli dolori, ma però lo sono, e ogni uomo li giudica una quantità minore del piacere che avrà d'aver visitato un amico, d'avere esattamente adempiuto agli obblighi dello stato, d'aver usata urbanità e compiacenza ec. Se adunque nella pratica l'uomo paragona continuamente i dolori, e i piaceri, convien dire che sieno due quantità prossimamente paragonabili. Ogni azione nostra si assomiglia a una compra: si dà il denaro per avere una cosa; il privarsi del danaro per sè è un male; ma quando compriamo, giudichiamo che è un bene maggiore di questo male la cosa che ricerchiamo. In ogni condizione, in cui sia l'uomo, anche sotto al trono, è costretto a fare una quantità di azioni penose, incomode, dolorose per acquistarsi i piaceri. Questo calcolo l'uomo lo fa abitualmente.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308