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      Io non dirò che il desiderio della gloria per gli altri oggetti sia da spegnersi; dirò bensì che per un Alessandro, un Cesare, un Maometto vi sono migliaja d'uomini infelicissimi, e che questi tre conquistatori, da quanto possiamo saperne, furono essi medesimi divorati da amarissime passioni. Dirò che per un Sejano, per un Triboniano, e per un Richelieu si può dire lo stesso dei disgraziati che hanno ambito la gloria negl'impieghi pubblici, e questi fortunati nemmeno lo furono per la loro felicità. Dirò finalmente che i desiderj della gloria portando un privato alla contemplazione della verità e alla perfezione delle arti liberali lo ripongono nello stato il più invidiabile per un uomo ambizioso di gloria. Quindi in vece di combatterne il desiderio, saggiamente pensando alla propria felicità, convien coltivarlo. Ma questa gloria conviene invitarla, meritarsela ed aspettarla senza una indiscreta impazienza. Gli uomini di lettere nella prima loro gioventù talvolta si slanciano nell'arena ancora mal esperti; questa giovanile impazienza è da calmarsi e conviene appettare di aver cose da presentare al pubblico giudizio le quali s'innalzino sulla mediocrità. La gloria cioè una generale, estesa, e durevole opinione non si può ottenere dagli uomini in un momento; al primo comparire d'una opera interessante le opinioni sono divise, non conviene maravigliarsi d'un avvenimento che è inevitabile, nè promettersi un accordo istantaneo delle tante discordi menti umane in favor nostro, peggio poi discendere a confutare le censure che la piccola invidia o la ignoranza fanno sempre nascere appunto a corredare un bel lavoro per morire un momento dopo, come i vapori esalati da paludoso terreno schiudono un baleno che abbaglia e sviene, lasciando gli astri adorni della immortal luce placidi e eterni nella loro rivoluzione.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308

   





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