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      Ma tre secoli sono un tal governo non era mostruoso, perchè tale era quella che allora chiamavasi ragione di Stato. Io non dirò che tutti gli Stati di Europa abbiano interamente deposta la barbarie antica; ognuno però conosce, che si è di molto scemata, e con essa la infelicità; giacchè si può bensì disputare, se l'uomo fra gli Uroni e gli Iroquesi sia più felice che a Roma, a Londra, o a Parigi, ossia se lo stato selvaggio sia più fortunato dello stato d'iincivilimento; ma nessuno disputerà se lo statodi barbara e corrotta società sia più misero dello stato di società colta e legittima. Nella vita selvaggia può dirsi, che l'eccesso dei desiderj oltre il potere sia poco, perchè questi sono limitati quasi ai soli bisogni fisici, e questo è grande colla agilità e robustezza del corpo non ammollito dalla educazione; nello stato di società i desiderj sono infiniti, perchè nascono dalla fecondissima opinione sovrana degli uomini sociali, e il potere si accresce dal canto dell'industria, e si scema da questo delle forze fisiche; ma se in questa società spira la barbara diffidenza, se l'esistenza e la proprietà diventano precarie, se dalla fonte della equità e della giustizia sgorga il terrore e la devastazione, il potere di ogni uomo è vacillante, e l'eccesso de' desiderj diventa sommo. Si è forse trovata un ingegnoso paradosso, piuttosto che una verità, la proposizione che siano più felici i selvaggi, che gli uomini sociali, perchè si è creduto, che con ciò si facesse il progetto di richiamare gli uomini alle selve, e perchè l'uomo incivilito ha supposto, che il selvaggio abbia tutt'i bisogni ch'ei sente, e mancando di mezzi per soddisfarli, conseguentemente rimanga disperato come ei lo sarebbe; ma la questione è un oggetto di semplice speculazione, nè mai da questa potrà dedursene, che dopo una comoda e molle educazione possa l'uomo passare allo stato selvaggio senza rendersi infelicissimo.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308

   





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