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      Dal fin quì detto raccogliesi, che l'uomo ha più mezzi oggigiorno per essere felice, che non ve ne furono giammai; che questi dipendono dai lumi e dalle cognizioni che ci hanno somministrate le scienze; esse dominano la opinione, e questa il Mondo; il saggio le onora, e sopra di ogni altra coltiva la scienza di se medesimo, e perfeziona la ragione per migliorare se stesso, per formarsi idee chiare e precise degli oggetti, e accostumarsi a un metodo di giudicare più lontano dall'errore che sia possibile, e incamminarsi alla felicità, rischiarando il sentiero che vi conduce.
     
     
     
      Conclusione.
     
      La felicità non è fatta, che per l'uomo illuminato e virtuoso. Se gli uomini, che pure tutti avidamente si uniformano nel correre dove credono di trovare la felicità, adoperassero le loro forze della mente per esaminare se la strada per cui smaniano di correre vi conduca, non cadrebbero così miseramente in braccio al tardo pentimento, come la maggior parte fanno. Gli Stoici s'insegnarono a spogliarci di ogni desiderio per togliere ogni presa ai destino sopra di noi; chimera rispettabile, ma pure chimera, perchè l'uomo senza alcun desiderio sarebbe immerso in un profondo sonno. Zenone voleva, che il saggio fosse come una robusta quercia, che all'accostarsi dei venti dell'inverno lascia cadere le foglie, e dà meno presa, e immobilmente ne soffre il soffio: ma la ragione c'insegna a liberarci dai desiderj contrarj a lei, e proccurarci il potere massimo per uguagliare quanto si può i nostri desiderj.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308

   





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